<p><img height="422" src="https://www.numerev.com/img/ck_393_13_image-20240407141107-1.jpeg" width="422" /></p> <p>Ci sono piccole morti a cui sottoponiamo il corpo per il solo fine di vederlo rinascere, per l&#39;attraversamento del limite, oltre il quale &egrave; possibile ritornare alle proprie dimore abituali, all&#39;ordinariet&agrave; che non &egrave; pi&ugrave; tale dopo l&#39;esperienza che se n&rsquo;&egrave; fatta.<br /> Luisella questo lo sapeva e lo sperimentava. Le apparteneva l&rsquo;osservazione e il rapimento estatico, la scrittura e l&#39;atto creativo, il disegno e i colori. Aveva un modo tutto suo di comunicare senza parlarti. Tutto dipendeva da come poggiava lo sguardo, da quel suo modo di muoversi che dimostrava insieme cautela e possesso dello spazio.<br /> Era l&#39;autunno del 2004. Ci incontrammo in un giardino, mentre controllava le garze che erano state poggiate sul terreno; mentre scriveva, di una scrittura minuta, su un tronco di albero che sarebbe stato abbattuto. Preparava una performance, ne organizzava la parte creativa e il corpo, che era coinvolto gi&agrave; in fase di preparazione. Le cose che utilizzava nella performance, e se stessa in primo luogo, dovevano avere una sorta di trasmutazione con la natura. Le garze, per esempio, si sarebbero impregnate di odore di terra, dei suoi colori e avrebbero catturato erbette e gli insetti di passaggio. Lei, poi, vi moriva dentro. Di un morire che era benessere, sbalzo di temperature, dimenticanza, entropia. Di un morire che era ri/nascita. Lei si portava dietro una valigia che conteneva oggetti iconici e che rappresentava, col suo angusto perimetro, il simbolo del viaggio che andava facendo.<br /> Le performances di Luisella Carretta hanno tutte per oggetto e soggetto la natura, i suoi paesaggi estremi, a volte rurali. Poche volte paesaggi urbani. La natura ha rappresentato, nel suo mondo creativo, la ragione del suo lavoro e con queste caratteristiche: non andava riprodotta, n&eacute; ricostruita; non &egrave; stata pretesto per moniti morali, n&eacute; scenario di installazioni; non era assemblaggio di antiche memorie, n&eacute; oggetto di architetture fantastiche o futuribili. La natura andava solo vissuta e i suoi paesaggi sperimentati. Questo insegnano le sue performances e le lunghissime ore e ore di osservazione sul volo degli uccelli.<br /> Nell&#39;evento performativo la creativit&agrave; offre strumenti essenziali per vivere sia lo spazio che il tempo. Offre la concentrazione del corpo intero, la ritualit&agrave; dei gesti, la tensione emotiva verso ci&ograve; che si conosce appena e che sta per accadere. Ed &egrave; cos&igrave; che il processo creativo consente quella trance, una sorta di dissociazione, che &egrave; elemento comune in tutte le performances di Luisella. Un&#39;esperienza profonda, intima e per lei catalizzante. Tutto questo, viene, sul momento, comunicato allo spettatore, a chi inerte assiste ed empaticamente si lascia coinvolgere.<br /> La presenza di Luisella nel Sud d&rsquo;Italia, in un Salento in cui il <em>trance-ire</em> &egrave; quasi strumento arcaico di mitologie e riti, ha permesso il sorgere di una rete di relazioni costruite intorno al discorso della trance nell&rsquo;arte. Il ruolo di demiurgo svolto da Vincenzo Ampolo &egrave; stato trainante perch&eacute; si formasse una consapevolezza sul concetto di dissociazione creativa ed ha consentito che su questo tema si sviluppasse un&#39;attenzione e un lavoro di ricerca che poi ha dato luogo alla pubblicazione di due testi, insieme ad altre esperienze laboratoriali. &nbsp;<br /> Si pu&ograve; dire, insomma, che le piccole morti e le grandi rinascite di Luisella in questo territorio, hanno diffuso un seme di conoscenza da cui &egrave; attecchita nuova materia e questo &egrave;, come sempre, il fine dell&rsquo;arte.</p> <p>&nbsp;</p>