<p style="text-align:justify; -webkit-text-stroke-width:0px; text-indent:35.4pt"><span style="font-size:medium"><span new="" roman="" style="font-family:" times=""><span style="caret-color:#000000"><span style="color:#000000"><span style="font-style:normal"><span style="font-variant-caps:normal"><span style="font-weight:normal"><span style="letter-spacing:normal"><span style="orphans:auto"><span style="text-transform:none"><span style="white-space:normal"><span style="widows:auto"><span style="word-spacing:0px"><span style="-webkit-text-size-adjust:auto"><span style="text-decoration:none">Nell&rsquo;agosto 1945 Natalia Ginzburg trova lavoro presso la casa editrice Einaudi. Il marito Leone &egrave; morto l&rsquo;anno prima nel carcere di Regina C&oelig;li. Torturato dai tedeschi e indebolito da una polmonite mai curata, soccombe alle ferite. Per Natalia la vita dopo-Leone &egrave; segnata da una grande infelicit&agrave; mascherata, per&ograve;, sotto al segno del&nbsp;<i>si deve</i>. &Egrave; da Einaudi che conosce Angela Zucconi, una &laquo;sradicata, un&rsquo;indipendente&raquo;, l&rsquo;unica a cui si confida, a cui mostra il proprio vuoto. Il racconto&nbsp;<i>Estate</i>, pubblicato nel marzo del 1946 su&nbsp;<i>La Darsena nuova</i>, narra proprio di un debito verso quell&rsquo;amica conosciuta da poco ch&rsquo;eppure l&rsquo;ha salvata da una morte annunciata. In pochi ricordano di quell&rsquo;estate del 1945 dove la Ginzburg aveva deciso di morire per via di &laquo;un uomo, ma poi anche per tante altre cose&raquo;. Una sera, nel pensionato dove viveva sola, Natalia scioglie delle pasticche in un bicchiere d&rsquo;acqua, ma al mattino la portinaia la trova e chiama il medico. Nel periodo di degenza in ospedale, oltre al fidato amico Cesare Pavese, &egrave; Angela che la viene a trovare, che l&rsquo;ascolta, le porta le arance, le chiede dei bambini, le prospetta di viaggi lontani, di treni che corrono verso l&rsquo;orizzonte. Cos&igrave;, nel racconto scritto l&rsquo;anno successivo, l&rsquo;amica diviene Giovanna, figura della compassione e della simpatia. Nell&rsquo;accezione greca dei due termini (<i>cum</i>&nbsp;e&nbsp;<i>passio</i>;&nbsp;<i>syn</i>&nbsp;e&nbsp;<i>pathos</i>: sentire insieme, nello medesimo tempo), Angela-Giovanna &egrave; il mezzo che permette all&rsquo;io narrante di uscire dal masochismo, di resistere alla tendenza mortifera del &laquo;fare a me stessa tutto il male che avessi potuto&raquo;. Se vivere &egrave; una fatica &ndash; una &laquo;ripugnanza del cuore&raquo; &ndash; l&rsquo;amicizia con Giovanna permette ai quei giorni d&rsquo;agosto, collosi e indolenti, di trasformarsi in un percorso conoscitivo tanto per la narratrice quanto per la stessa Natalia, abilmente nascosta tra le righe.</span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></p> <p style="text-align:justify; -webkit-text-stroke-width:0px; text-indent:35.4pt"><span style="font-size:medium"><span new="" roman="" style="font-family:" times=""><span style="caret-color:#000000"><span style="color:#000000"><span style="font-style:normal"><span style="font-variant-caps:normal"><span style="font-weight:normal"><span style="letter-spacing:normal"><span style="orphans:auto"><span style="text-transform:none"><span style="white-space:normal"><span style="widows:auto"><span style="word-spacing:0px"><span style="-webkit-text-size-adjust:auto"><span style="text-decoration:none">Scopo del presente articolo &egrave; analizzare come la Ginzburg metta in atto &ndash; attraverso una prospettiva auto-finzionale (Doubrovsky: 1988; Gasparini: 2008) &ndash; ci&ograve; che la filosofa Anna Donise nel suo&nbsp;<i>Critica della ragione empatica&nbsp;</i>(2019) ha definito come un&rsquo;&laquo;empatia dell&rsquo;immaginazione&raquo;. Rifacendosi agli studi di Martha Nussbaum sulla connessione esistente tra l&rsquo;immaginazione narrativa e l&rsquo;intenzione morale (<i>Giustizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile</i>&nbsp;&ndash; 2001), Donise mostra come la letteratura possa essere quel luogo d&rsquo;incontro, di scambio empatico tra l&rsquo;autore e il lettore. Se &egrave; vero che quest&rsquo;ultimo, grazie al testo, &egrave; spinto a interrogarsi non soltanto sulle intenzioni dell&rsquo;autore ma anche sul proprio vissuto, possiamo osservare come il racconto della Ginzburg possegga in s&eacute; una duplice valenza. Nato come gesto di riconoscenza verso l&rsquo;amica capace, attraverso la propria&nbsp;<i>sim-patia</i>, di traghettarla verso il terreno della stabilit&agrave; emotiva, il testo, stando alla nostra lettura, apre verso una prospettiva&nbsp;<i>meta-letteraria</i>. Il carattere volutamente immaginativo del racconto (non si tratta di una pagina di diario, n&eacute; di una confessione, ma di un vero e proprio racconto articolato secondo prospettive e personaggi precisi) diviene in questo contesto sinonimo di una forma d&rsquo;empatia volta non soltanto a raccontare del legame profondo instaurato tra le due amiche. Poich&eacute; attraverso l&rsquo;<i>autofiction</i>&nbsp;la Ginzburg consente al lettore di&nbsp;<i>pensarsi</i>&nbsp;all&rsquo;interno della sua stessa scrittura: instaura con lui un vero e proprio dialogo, trasformando il campo letterario in contributo &ndash; per dirlo con Donise &ndash;&nbsp;&nbsp;&laquo;al lessico e alla topica dell&rsquo;etica&raquo;. In effetti, lo sforzo creativo per raccontare del proprio tentativo di suicidio e della conseguente amicizia che lo ha guarito, coincide paradossalmente con una vera e propria fenomenologia della vita reale. Grazie al racconto, il lettore non soltanto partecipa emotivamente al dolore della Ginzburg, ma entra pi&ugrave; specificamente in una relazione simpatetica con quello che Nussbaum ha definito &laquo;la concretezza della condizione umana&raquo;.&nbsp;</span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></span></p>