<h3 style="text-align: center;"><span style="color:#2980b9;">Raccontare lo sradicamento nel romanzo Senzaterra<br /> Intervista ad Evelina Santangelo a cura di Vanessa Alaya</span></h3> <p align="center" style="text-align: center; margin-bottom: 11px;"><span style="font-size:11pt"><span style="line-height:107%"><span calibri="" style="font-family:">5 marzo 2021</span></span></span></p> <p align="center" style="text-align: center; margin-bottom: 11px;"><img src="https://www.numerev.com/img/ck_393_13_image-20210702170609-1.jpeg" style="width: 400px; height: 400px;" /></p> <p style="margin-bottom: 11px;"><span style="font-size:11pt"><span style="line-height:107%"><span calibri="" style="font-family:">&nbsp;</span></span></span></p> <p><em>Vanessa Alaya: </em>Lei ha firmato la sceneggiatura del film <em>La Terramadre</em> di Nello La Marca e in seguito ha deciso di scrivere un libro, questo non &egrave; lo schema abituale. Perch&eacute; questa decisione?</p> <p><em>Evelina Santangelo</em>: Perch&eacute; man mano sono maturate idee, aspetti narrativi che volevo sviluppare. Il film, infatti, &egrave; un po&rsquo; diverso dal libro e la differenza sta tutta nei due titoli direi.<em> La Terramadre </em>in cui il regista ha voluto evidenziare di pi&ugrave; le radici, il radicamento alla terra di origine, sulle orme di un neorealismo che ha cercato anche di conservare una maggiore integrit&agrave; linguistica dialettale. <em>Senzaterra,</em> il titolo del romanzo, con cui ho cercato di evidenziare il bisogno di raccontare lo sradicamento, il plurilinguismo privo di alcuna integrit&agrave;, l&#39;idea di un restare non come affezione alla terra ma come rivendicazione del diritto di scegliere dove potersi realizzare, anche contro tutti.</p> <p><em>V.A.:</em> Oltre il titolo ci sono altre differenze che lei vuole sottolineare?</p> <p><em>E.S.</em>: Io ho lavorato molto sull&rsquo;idea che viviamo in un tempo in cui nessun luogo o quasi &egrave; abbastanza isolato da poter mantenere un&rsquo;identit&agrave; granitica, univoca. Durante un lungo viaggio in Per&ugrave;, mi sono ritrovata in un Internet point accanto a ragazzi che guardavano su internet gli stessi video musicali che allora guardava mia figlia qui in Italia. Ed era un villaggio non lontano dalla foresta amazzonica&hellip; Questa consapevolezza attraversa in modo molto pi&ugrave; marcato il romanzo. Consideri l&rsquo;uso della lingua di cui parlavo prima, ad esempio. Nel romanzo io mescolo pi&ugrave; registri e &laquo;sporco&raquo; molto il dialetto che ha scelto di prediligere il regista. E questo perch&eacute; credo che la lingua sia uno dei segni pi&ugrave; significativi di un mondo che si disgrega e si rimescola. Cos&igrave; ho scelto una lingua mescolata di anglismi, linguaggi tecnologici, neologismi, italiano standard ed espressioni o sintassi dialettali. E questa mescolanza &ndash; anche di mentalit&agrave; arcaica e modernit&agrave; mal digerita &ndash; la ritengo pi&ugrave; &laquo;vera&raquo; di qualsiasi presunta purezza.</p> <p><em>V.A.</em>: Facendo delle ricerche sul termine &quot;Terra Madre e Madre Terra&quot;, ho scoperto che proprio l&#39;anno in cui il film &egrave; stato girato (2008) &egrave; stato anche l&#39;anno in cui l&rsquo;Ecuador ha scritto la Dichiarazione universale dei diritti di Madre Terra e l&#39;ha inserito nella sua Costituzione. Ci sarebbe un rapporto con il suo soggetto?</p> <p><em>E.S.:</em> No. Onestamente non ho pensato alla <em>Dichiarazione universale dei diritti di Madre Terra</em>. Per&ograve;, &egrave; una bellissima suggestione. Con il regista Nello La Marca abbiamo pensato che &laquo; Terra &raquo; e &laquo; Madre &raquo; costituivano il nucleo della storia che stavamo raccontando: io con le parole e lui poi con la macchina da presa. Al centro della storia c&rsquo;&egrave; un rapporto intimo e complesso con la maternit&agrave; (una madre reale, un legame forte) e un rapporto con il senso di appartenenza a una terra (che riguarda sia Gaetano il protagonista, che Al&igrave;, il ragazzo arrivato dall&rsquo;altra sponda del Mediterraneo).</p> <p><em>V.A</em>.: Al momento di questa intervista, il 5 marzo 2021, la mia tesi di laurea non &egrave; ancora finita, ma lei ha potuto leggere l&rsquo;indice : secondo lei c&rsquo;&egrave; tutto o mancano alcuni aspetti importanti del romanzo?</p> <p><em>E. S.:</em> Credo ci sia quasi tutto. Forse manca l&rsquo;aspetto linguistico che per me &egrave; stato di grande rilievo. La scelta non di un dialetto mimetico, ma di una mescolanza linguistica dove convivono espressioni arcaiche, dialettali insieme all&rsquo;italiano standard, ad anglismi e neologismi. Una mescolanza oltretutto anche stratificata che distingue le varie generazioni: pi&ugrave; dialetto nell&#39;uso dei vecchi; pi&ugrave; italiano, ipercorrettismi, neologismi, anglismi insieme a espressioni dialettali nel parlato dei giovani; e ancora meno dialetto nel parlato del bambino. La lingua fratturata che ho scelto ha a che vedere anche con aspetti riguardanti appunto la mentalit&agrave; in cui convivono modernit&agrave; e visioni arcaiche, stereotipi e nuove percezioni di s&eacute; e degli altri, vecchi retaggi e nuove aspirazioni, insieme a immaginari spesso surrogati dell&rsquo;immaginario televisivo o del network...</p> <p>Altro motivo per me importante &egrave; stata la giustapposizione di diversi Sud del mondo (in senso ampio), il Sud della pi&ugrave; ricca Europa, quella Sicilia l&igrave;, profonda, come metafora di tutte le aree marginali o depresse del Paese, che per&ograve; si configura come Nord di qualcos&#39;altro come accade nei sogni dei migranti. Siamo Europa; eppure, non siamo i sogni dell&#39;Europa sognata dai migranti, che arrivano in scogli semideserti come Lampedusa o in terre comunque depresse come quell&#39;area dell&#39;agrigentino che racconto, depresse anche in termini di diritti, oltre che socio-economici. Una terra d&rsquo;Europa da cui si emigra per studiare, per lavorare, per realizzarsi. Ecco, ho voluto raccontare anche l&rsquo;assurdo di queste doppia migrazione: dall&rsquo;altra sponda del Mediterraneo verso l&rsquo;estremo confine meridionale d&rsquo;Europa e da quell&rsquo;estremo confine meridionale verso tutto ci&ograve; che sta altrove e d&agrave; speranze. Ognuno ha il suo Nord e il suo Sud, mi verrebbe da dire.</p> <p><em>V.A.</em>: La seguo su Instagram e vedo spesso pubblicazioni in sostegno ai migranti, lei fa parte degli scrittori che affrontano questioni di attualit&agrave; attraverso la scrittura letteraria ma ho notato che il suo impegno va oltre la narrativa e fa parte del suo quotidiano, vero?</p> <p><em>E. S.</em>: Quando scrivo, immagino una storia non penso all&rsquo;impegno. Non mi definirei una &laquo;scrittrice civile&raquo;. Non penso in termini di messaggi, bandiere da sventolare, manifesti. Quando scrivo, seguo una sorta di innamoramento. Mi innamoro di una storia, dei personaggi. Li voglio imparare a conoscere. Voglio capire dove mi pu&ograve; portare. Poi, certo, ognuno di noi ha i propri immaginari e le proprie predilezioni. Siamo persona, prima che narratrici o scrittrici, e dunque ci innamoriamo di quel che ci sta pi&ugrave; a cuore. Ma non &egrave; una scelta programmatica. Accade, ecco. Poi, siccome credo molto nell&rsquo;integrit&agrave; della persona, o comunque ho questa attitudine, mi ritrovo a compromettermi tutti i giorni con quello in cui credo e a contrastare quello che rifiuto. Ogni forma di violenza, sopraffazione, discriminazione. Insomma, tutto ci&ograve; che oltraggia l&rsquo;umanit&agrave;: l&rsquo;umanit&agrave; di chi subisce e l&rsquo;umanit&agrave; di chi esercita forme di violenza. Io non posso che credere nell&rsquo;umanit&agrave; come valore e ribadirlo in ogni contesto in varie forme. &Egrave; il segno di quell&rsquo;&laquo;ottimismo della volont&agrave;&raquo; che convive col &laquo;pessimismo della ragione&raquo; di cui parlava Gramsci. La rivolta credo sia anche un fatto caratteriale. Io non riesco ad accettare il mondo cos&igrave; com&rsquo;&egrave;. Anche per questo mi sono ritrovata a fare la scrittrice d&rsquo;invenzione. Immagino mondi&hellip;</p> <p><em>V. A.</em>: Anche se il principio di un&rsquo;intervista &egrave; di fare delle domande, vorrei concludere ringraziandola per il tempo che lei mi ha dedicato, per la sua disponibilit&agrave; e la sua gentilezza.</p> <p><em>E. S.</em>: E io ringrazio lei. Perch&eacute; rispondere alle domande di qualcuno sulla propria opera, sul proprio gesto, sul proprio stare al mondo &egrave; sempre un modo per mettersi in discussione o precisare certe tensioni interiori. Grazie dunque.</p> <p>&nbsp;</p> <p>&nbsp;</p>